Immergiamoci nel Sommergibile Dandolo, gemello del Toti



Il Toti, che da qualche anno riposa sereno nel Museo della Scienza di Milano, aveva un gemello, l'"Enrico Dandolo", tirato fuori dall'acqua qualche anno prima del Toti e oggi conservato all'interno dell'Arsenale Militare di Venezia.
Visitare il Dandolo non è facile. In genere bisogna attendere una occasione speciale, o chiedere un permesso particolare.
Il Dandolo è collocato su  una  rampa di alaggio. Si entra da una porta ricavata sullo scafo a prua, nella sala siluri e alloggi, e si attraversano i diversi ambienti, uscendo a poppa, dalla sala motori.

il tubo di lancio aperto e due siluri nelle posizioni assegnate
 
I locali sono piccoli, niente da dire. Se vorreste entrare in Marina per via degli spazi che solo il mare può darvi, beh dimenticatevi i sommergibili. La visita impegna pochi minuti, anche se noi ci siamo attardati per scattare qualche fotografia in più. All'ingresso, a prua, lo spazio si apre a destra. Si vedono bene i quattro tubi lanciasiluri chiusi, come ci si aspetterebbe, da un piccolo volante. Armadietti personali assolutamente piccoli, le brande che escono, come cassetti, dai lati di dritta e sinistra, due siluri a filoguida mostrano la posizione che essi avevano durante la navigazione e le esercitazioni. Lo spazio era uno e uno solo per tutti, tranne che per il comandante, che aveva il privilegio di un camerino privato. "Camerino che spesso non utilizzava" ci viene fatto presente, "per via di rumore e caldo insostenibile". Non ci sono brande singole. Ogni giaciglio è condiviso "a branda calda", ovvero fra due uomini. Chi non è sdraiato è di turno. Lì si mangia, si guarda un film, si riposa, si lanciano i siluri. Un ambiente decisamente polifunzionale, insomma. Nella immagine ingrandita si noteranno i cassettoni semi aperti dei letti. Sopra i letti degli armadietti.

Girandosi verso poppa, prima di lasciare l'ambiente, si incontra una tuta da sopravvivenza, appesa a dare bella mostra di sé. "Il miglior amico del sommergibilista", ci viene detto. L'unico modo affidabile per lasciare lo scafo inerte, per esempio poggiato su un fondale; "non troppo fondo", però. Si prosegue. A sinistra il camerino del Comandante. A vederlo si capisce perché il “capo” non lo trovasse un granché.
Sembra un loculo, con la cuccetta incastrata in alto, mezza nascosta. Rimane solo la cassaforte, imbullonata, immaginiamo, alla struttura profonda dello scafo.
Quello che stava lì dentro doveva morire con la nave!


la tuta di evacuazione e sopravvivenza l'estrattore dei fumi della cucina
 
Alla stessa altezza del camerino del comandante ecco la cucina. La cucina è delle dimensioni di quella di un camper, ma serviva per nutrire 28 uomini. "Non si cucinava nulla con l'aglio, che mandava in tilt i sensori dei gas tossici".

Una paratia, una porta, un passo, e si è nel quadrato, che poi è un unico ambiente con la camera di manovra e la centrale di combattimento. Qui c’è tutto quello che può interessare maggiormente, a partire dal periscopio. "Dopo qualche anno di servizio, stare sotto il periscopio durante le operazioni di salita e recupero era una condizione per la quale un impermeabile era un supporto gradito”.
Molta acqua in testa, per dirla in breve.


Guardare fuori è abbastanza divertente, ed è anche l'unica cosa vagamente interattiva che si può fare a bordo.
La vista è quella del tetto di una parte d'Arsenale, e non di una corazzata, ma il reticolo di puntamento è proprio come ce lo immaginavamo.
Poi ci si guarda attorno e più ci si rende conto che un sommergibile è una specie di ciclope che avanza in una notte permanente, senza neppure una candela in mano. Qui niente, a parte i suoni, trasmette l'idea di cosa c’è fuori.

Chi manovra l'assetto dello scafo, la direzione e la velocità , siede di fronte a una batteria di volantini, valvole, indicatori di pressione, senza alcuna idea di cosa vi sia in qualunque possibile direzione. I “marchingegni” del Dandolo/Toti sono anche belli.
Sembra di essere calati in una scena di un film degli anni trenta. Sono oggetti lisci, che dopo quaranta anni dalla loro produzione sembrano ancora in buona efficienza, con vetri integri e quadranti senza ruggine o ossidazione. Indicano velocità , pressione, funzionamento delle pompe. Siamo nell’età  pre-elettronica, almeno nella struttura della nave. C’è da segnalare che la pre-elettronica funziona bene; spesso è¨ più affidabile, e più facilmente riparabile. Tutto a strette norme MIL, qui a bordo, cioè realizzato per essere affidabile, duraturo e costoso.


la torretta, con la sua scala non molto agevole

Guardiamo in alto: siamo sotto la torretta. Qui è semi-aperta e una scaletta verticale permette il saliscendi di persone e cose. Quando lo scafo è in acqua questo è ‘unico accesso. Immaginiamo cosa doveva essere, questo stretto passaggio, nei giorni immediatamente prima delle partenze. Vestiti, verdure, pasta e salami!

A proposito: i salami, e i salumi tutti, pare fossero molto popolari a bordo.
"Se ne potevano trovare appesi un po' dappertutto". Immaginiamo che uno spuntino, staccandone un pezzo col coltello, fosse un'azione ripetuta molte volte al giorno.
 

Qui si manovravano valvole e volantini

Gli indicatori di quota

L'indicatore di velocità, sopra al tavolo da carteggio
Valvole per noi  misteriose, con anche un bel divieto di manovra


la centrale di tiro

e i quadri elettrici
 

Il lato destro della sala risale agli anni ottanta.

Qui ci sono gli schermi radar, i quadri di controllo del sistema d'arma. Se non fosse che questi apparecchi sono stati costruiti per distruggere ed uccidere (chiunque fosse il costruttore e l'utilizzatore, e questa non può che inquietare), sarebbero strumenti dotati di fascino. Sono meno belli della parte più antica del sommergibile, hanno una loro rozzezza artigianale, l'incompletezza tipica degli oggetti costruiti in due o tre esemplari. Grossi tasti colorati: li immaginiamo lampeggiare in attesa di essere premuti.
Più avanti i quadri elettrici. Il Dandolo e il Toti erano costruiti per funzionare con un propulsore elettrico, e i quadri elettrici controllavano lo stato di carica delle batterie, i flussi e l'erogazione della corrente. I quadri sono una via di mezzo della tecnologia ibrida di questi scafi.  Componenti degli anni '60 sono rappezzate con parti anni '90. Tutta questa sala è dunque “composita”: indicatori digitali affiancate a strumentazione che sembra uscite dal laboratorio di Torricelli. La cosa ha un suo fascino.
A sinistra, e andando verso poppa, c’è la sala sonar; "sala" èuna definizione eccessiva, per un locale poco più grande di una persona. Sul Dandolo c’è un manichino, e una ambientazione acustica che fa capire cosa si sente sott'acqua. L'operatore sedeva rivolto verso prua, avendo di fronte un quadrante con una specie di schermo radar che indicava direzione di ascolto e intensità dei segnali captati dagli idrofoni.
Tutto avveniva in "passivo", ascoltando e misurando cioè, quello che le altre navi o sommergibili bersaglio producevano involontariamente in acqua. Senza emettere alcun suono dal Dandolo. Solo cosìsi poteva sperare di non essere scoperti.
Emettere un PING avrebbe permesso di misurare con grande precisione le distanze e le direzioni, al costo però di dichiarare la propria presenza.
Un altro passo e siamo nella¨ la sala radio. Qui non si entra. Da fuori si possono osservare gli apparecchi per le trasmissioni, che ovviamente funzionavano solo in superficie.
Sono radio in tutte le gamme di frequenza. Su queste apparecchiature arrivavano gli ordini e si spedivano i rapporti. Un punto nevralgico della vita dell’unità.

Un ultimo passo ed ecco la latrina (non si può che chiamarla così), l'unica per tutto l'equipaggio! Sembra ci si potesse fare anche la doccia, o qualcosa del genere.
Un ambiente non proprio accogliente.

Un'altra paratia e siamo in mezzo ai motori. Questi sono i generatori diesel, che ricaricavano le batterie durante le ore di moto in superficie. Sembrano grossi motori agricoli, la marina perdonerà , e immaginiamo con orrore il rumore spaventoso emesso durante il loro funzionamento. Non c’è infatti alcuna coibentazione nè isolamento, per banali problemi di spazio.


Serbatoi, iniettori e collettori. Siamo davanti ai generatori diesel.
 

la sala sonar, per la scoperta dei bersagli

la sala per le radiocomunicazioni

la “confortevole” sala da bagno
 
Il propulsore elettrico è l'ultima apparecchiatura che si vede prima di uscire. Un lungo avvolgimento, con qualche ingranaggio messo in evidenza per i visitatori. Sull'involucro spicca il nome SIEMENS. Si passa poi su una passerella di rete metallica, che ha il vantaggio di lasciar circolare l'aria, e di far vedere ciò che accade sotto. Verso la poppa si innesta l'albero dell'elica. Qui un indicatore riporta la colonna d'acqua (di mare!) che insiste sulla poppa, e quindi sulle tenute dell'albero dell'elica. 
Durante le manovre, tra prua e poppa, su uno scafo di 46 metri, ci possono essere oltre due bar di differenza di pressione.
Due lancette di massima, immaginiamo una sia per l'uso operativo, l'altra per il massimo di collaudo. La visita è finita. Ringraziamo il nostro accompagnatore, con il quale scambiano due ultime parole. 
(michele manghi, 20 ottobre 2005. Visita svolta il 24 settembre 2005)

gli ingranaggi del propulsore elettrico, riportati a vista per il visitatore
 

la copertura del propulsore elettrico a sinistra il manometro di poppa, appena sopra l'inserzione dell'albero